mercoledì 23 marzo 2011

Il terzo capitolo - Mavi

3


MAVI



Perfetto. Assolutamente perfetto. Oppure no?!
Guardo mia mamma, seduta su un enorme divano bianco, che mi fissa da un minuto buono senza proferire parola. Che c’è? Non va bene? E’ troppo tardi per cambiare idea, ti prego, dimmi che ti piace da morire!
«È lui, sicuramente. Sei splendida!» Ecco le parole che volevo sentire, grazie mami.
Mi sembra di scorgere una lacrimuccia che lotta per liberarsi dal suo occhio destro, ma forse me la sto solo immaginando. Non devono mica piangere tutte le madri che vedono la figlia con il vestito da sposa, giusto?!
«Davvero? Non lo dici solo per farmi contenta? Dimmi la verità vera, per favore»
«Te lo giuro, mi piace tantissimo. È davvero perfetto! Non lo ricordavo addirittura così bello» e mi sfodera un gran sorriso, un sorriso da mamma, quello che viene dal cuore, sincero come solo loro sanno farlo.
Sta dicendo la verità, glielo leggo in faccia quando non è convinta al 100%. Bene, una preoccupazione in meno, il vestito posso toglierlo dalla lista.


Mi giro verso la commessa: «Mi piace, veramente. Abbiamo visto bene quella volta!».
«Benissimo» fa lei con fare professionale «Allora prendo gli spilli per gli ultimi ritocchi, aspettatemi qui, arrivo subito». E si allontana velocemente.
Sento la tensione alleviarsi. Non c’ho messo molto a trovare l’abito giusto, questo è solo il secondo negozio che visito. Mi è andata bene, una mia amica mi ha raccontato di aver girato quasi tutti gli atelier della sua città, prima di trovare quello che cercava.
È stressante, non lo immaginavo. Entri in un posto pieno di vestiti bianchi e di commesse con il sorriso stampato in faccia, che sai già ti diranno quanto stai bene con tutto quello che ti metti addosso. D’altronde è il loro lavoro, per carità.
Dopo aver provato due o tre vestiti, hai già mal di schiena e male ai piedi. Te ne stai ben dritta davanti allo specchio, senza il coraggio di respirare troppo profondamente per non far saltare qualche spillo e, ad ogni minuto che passa, ti senti sempre più scoraggiata.
Nel primo negozio, qualche mese fa, avrò provato almeno una ventina di vestiti, nessuno mi convinceva. Ogni volta che mi guardavo allo specchio immaginavo la reazione di Francesco che mi vedeva arrivare all’altare conciata così, è il metodo migliore che ho escogitato per scegliere l’abito giusto.
Di solito abbiamo gli stessi gusti, perciò se penso che un vestito non lo convincerebbe pienamente, lo scarto. Sono tornata a casa stanca morta, con i muscoli indolenziti e la testa piena di immagini di strascichi, balze e pizzi.
Ero intimorita dall’idea di un’altra giornata di ricerche, se questa volta non avessi fatto centro probabilmente, all’uscita del negozio, sarei scoppiata in lacrime. Invece, per fortuna, non è successo. Ho indossato il quarto vestito che la commessa mi aveva preparato, sono arrivata davanti al grande specchio, sono salita sul basso pouf - ricoperto di moquette bianca pure quello – e una sola, fugace, occhiata mi ha fatto capire che la caccia al tesoro poteva forse dirsi conclusa.
C’erano delle piccole modifiche da fare (ad esempio una consistente imbottitura nella zona del seno), ma nel complesso mi piacevo, e molto anche.
Immediatamente mi sono girata verso mia madre, che aspettava pazientemente seduta sul divano: stava sorridendo e mi disse: «Penso che tu l’abbia trovato. È davvero stupendo». Mi è bastato questo commento per convincermi del tutto.
Ho passato un’altra decina di minuti a guardarmi da ogni prospettiva possibile, per poi dare l’ok definitivo. Non vi dico il sollievo della proprietaria del negozio!
«Sei stata velocissima!», mi ha detto tutta contenta. «Ci sono volte che le ragazze rimangono qui quasi un’intera giornata!». Non sarà mai il lavoro della mia vita, penso divertita. Dopo un paio d’ore le sbatterei fuori a calci, credo.
Questo è successo qualche mese fa, ora mi ritrovo di nuovo qui per la prova intermedia, che spero sia anche l’ultima.
Mi guardo intorno: siamo in un’enorme stanza, le cui pareti sono ricoperte di specchi. Qui dentro è tutto bianco: il divano, la moquette, gli scaffali, perfino gli appendiabiti sono bianchi. Innumerevoli faretti al led rilasciano una luce abbagliante. La preferirei più soffusa: le spose non dovrebbero riuscire a contarsi i punti neri finché si provano il vestito!
Nell’ultimo mese ho perso due chili, non che ne avessi veramente bisogno. Quando sono nervosa mi succede, mangio quanto prima ma perdo peso. Non è certo un male! Adesso per lo meno riesco a respirarci, dentro a questo vestito.
E sto anche cercando di arrivare al matrimonio non dico abbronzata, ma almeno con un colorito dorato. Ormai i capelli hanno bisogno delle mèches per rimanere chiari, ma la carnagione è pur sempre quella di una bionda.
Traduzione: se mi abbronzo sto da Dio, ma dopo qualche giorno torno punto e a capo. Ma stavolta una lampada alla settimana mi assicurerà il risultato!
«Fiuuuu... Sono contenta, avevo il terrore di fare questa prova. Sono passati troppi mesi da quando l’avevo scelto, avevo paura di non ricordarmelo bene» Sento il sollievo che mi invade e le spalle che si rilassano, finalmente.
«Io lo ricordavo bene, non avevo dubbi» Le mamme, quando mai hanno dubbi?! «Ti sta a pennello!». Però gli occhi un po’ lucidi secondo me ce li ha.
Non facciamo in tempo ad aggiungere altro che la commessa è già di ritorno, accompagnata dalla modista. Mi sono addosso in un secondo e iniziano a parlare sommessamente di pieghe, imbottiture, risvolti. Il mio lavoro è finito, ora tocca a loro.

Usciamo dall’atelier con il sacchetto che contiene le scarpe e la biancheria intima per il fatidico giorno, non so proprio se mi metterò davvero quel perizoma color avorio. Bello quanto vuoi, ma non voglio certo trovarmi a metà pomeriggio con le chiappe che prudono! Forse meglio un paio di mutande un po’ più comode, tanto non sarà certo la prima volta che Francesco mi vede in slip.
Il mio Francesco. Chi l’avrebbe mai detto che me lo sarei sposato? Così presto, poi!
L’ho conosciuto neanche due anni fa.
Non venivo sicuramente dal mio periodo più roseo, anzi diciamo pure che fino a un paio di mesi prima ero in un periodo davvero brutto. Mi stavo portando dietro gli strascichi di una storia piuttosto difficile, che mi aveva svuotato di ogni illusione, facendomi sentire cinica come mai prima d’allora.
Ovunque vedevo una coppia, immaginavo del marcio: lui la abbracciava, ma stava sicuramente pensando ad un’altra; lei gli sorrideva, ma sotto sotto non sopportava le sue manie; si dicevano “ti amo”, ma in realtà a malapena si ricordavano perché si erano messi insieme.
Era così, non credevo più ai veri sentimenti. E non è un bel modo di vivere.
Ho passato alcuni mesi in cui uscivo poco, non ne avevo voglia. Andavo a lezione, studiavo, davo gli esami; se uscivo con qualche amico ridevo alle battute, mangiavo e bevevo, forse bevevo anche troppo.
Andavo agli aperitivi, magari in discoteca e tornavo a casa con un numero consistente di cocktail in corpo. Finché ballavo, rapita dalla musica e dall’alcol, mi sentivo leggera, quasi felice. Niente poteva toccarmi. il mattino dopo, però, il pensiero ritornava lucido e riaffiorava la tristezza.
Poi, un giorno, semplicemente è tutto passato. Certo, non è stato un cambiamento dalla sera alla mattina, non so quanto ci sia voluto, ma stavo vivendo un periodo se non felice, sereno. Avevo conosciuto persone nuove, anche se mi tenevo stretta le mie vecchie amicizie.
È stato proprio durante una festa che mi hanno presentato Francesco. Un bel ragazzo, solare e dallo sguardo gentile, ma allora in lui non vedevo nient’altro.
Biondo, alto una decina di centimetri più di me, con due occhi azzurri che fai fatica a dimenticare.
C’è voluto del tempo perché mi rendessi conto che per me stava diventando qualcosa di più di un semplice amico. Frequentandolo, passando del tempo con lui, è nata in me la consapevolezza che, in un modo o nell’altro, Francesco sarebbe stata una persona importante nella mia vita. Come amico o come cosa, all’epoca non lo sapevo.
Ma il nostro legame si è rivelato molto forte durante quelle prime settimane. Ci sentivamo spesso, ci vedevamo sempre di più, ma nessuno dei due faceva il passo avanti. Stavamo bene così, insieme ma non insieme; non un bacio, nessun approccio malizioso. Solo tante lunghe chiacchierate, tante serate io e lui, mano nella mano, tante pazzie.
Come quella volta in cui, dopo una lunga giornata di lavoro, è passato a prendermi e mi ha portata a cena al mare; oppure quando abbiamo deciso di andare insieme a Parigi, semplicemente perché era quello che volevamo. Francesco, mio amico, ogni giorno sempre più complice.
Finché una sera è successo: ci siamo baciati. E da lì non ci siamo più lasciati nemmeno per un giorno.
Strano, vero?! Per come vanno le cose di solito, prima vai a letto con qualcuno e poi inizi a conoscerlo davvero. Prima fai, poi pensi.
Con lui invece è stato tutto così diverso! Prima ci siamo conosciuti a fondo, piano piano, abbiamo condiviso dei momenti speciali, tutti nostri.
Lentamente abbiamo capito che ciò che avevamo, per quanto unico, non ci bastava. Ci siamo voluti, desiderati, aspettati. E ci siamo trovati.
Tra tre mesi ci sposeremo. Persa qualsiasi traccia di cinismo, da un anno e mezzo vado in giro con gli occhi a cuoricino e faccio cariare i denti a tutti i nostri amici. Ma chi se ne importa! Sono felice. Ora posso dirlo con certezza.

«Ci fermiamo a mangiare un boccone insieme o hai da fare?» mi chiede mia mamma una volta salite in macchina.
«Devo vedere Paola, mi spiace. Vengo a pranzo domani?» Da quando vivo con Francesco, anche se abitiamo a neanche 20 km di distanza da casa dei miei, non li vedo tanto spesso. In realtà mangio sempre a casa con mia madre in pausa pranzo, ma mi mancano i pomeriggi o le serate passate con lei. Siamo sempre state molto unite.
«Ok, tesoro» dice sorridendo.
È sempre così comprensiva, per farla arrabbiare ce ne vuole! Anche se mi basta fissarla negli occhi per accorgermi che un po’ c’è rimasta male. So che ci tiene a passare del tempo con me, ma ultimamente sta diventando sempre più difficile.
Ci sono il lavoro, la casa, Francesco, le mie amiche… Devo cercare di dedicarle più tempo, prometto a me stessa.
Parliamo del matrimonio per il resto del tragitto, a dire la verità sembra che non parliamo d’altro nelle ultime settimane. Io ne approfitto, perché lei è l’unica persona con cui mi sento libera di chiacchierare per ore di bomboniere, fiori e musica della cerimonia, sapendo che ne ha piacere.
Quando sono con le mie amiche sto molto attenta a non monopolizzare la conversazione, so che è una cosa molto fastidiosa. Con Francesco ne parliamo eccome, ma mi fermo prima di stancarlo. Basta uno dei due sposi stressato, no?
Arrivata davanti a casa dei miei genitori, saluto mamma e mi dirigo verso il centro. Sono in ritardo, Paola mi starà aspettando.

1 commento:

  1. Sono proprio curiosa di vedere come continua la storia!Complimenti per la scrittura!

    RispondiElimina