venerdì 10 dicembre 2010

Ecco il primo capitolo di "Un aperitivo per tre"


1


ELENA





Basta. Questa è davvero l’ultima mattina che vado al lavoro incazzata nera.
Salgo in macchina e mi ritrovo a pensare per l’ennesima volta che sia arrivato il momento di cambiare la mia piccola Polo, il mio orgoglio fino a quando ha compiuto i 10 anni d’età. Ora non è più la mia macchinina, quella “tutta e solo mia”. È un qualsiasi mezzo di trasporto, dai cui finestrini sempre appannati entra acqua quando piove ed esce l’aria condizionata quando ci sono 34° all’ombra.
Avrò passato almeno tre pomeriggi, negli ultimi mesi, a girare per le concessionarie d’auto della zona ed è sempre la stessa storia: parto da casa ripetendomi: “Sono una donna sicura di sé, sveglia e intraprendente, che non si farà mettere i piedi in testa dal primo viscido venditore d’auto del trevigiano!”.
Solo che poi finisce sempre nello stesso modo: con me che torno a casa sconsolata, dopo che l’ennesimo Mister “Ora La Intorto Io Questa Qui” mi ha fatto il lavaggio del cervello sulle qualità di una macchina, rifilandomi uno sconto del 3% sul prezzo di listino e facendomi anche sentire grata per l’impagabile concessione! E che cavoli!
Devo decidermi a chiedere a qualcuno di accompagnarmi. Mio padre, mio cugino, mio nonno, se ancora fosse vivo. La logica mi direbbe di chiederlo ad Alberto, ma non ho proprio voglia di passare un altro pomeriggio a sorbirmi le sue frustrazioni. Sarebbe capacissimo di darmi la colpa per i prezzi troppo alti delle auto nuove!
E con questo cupo pensiero entro finalmente al lavoro. Sono le 8 spaccate e devo ancora bermi un caffè. Avrei potuto berlo a casa, nella mia piccola cucina dalle pareti gialle, guardando la nebbia che avvolge le strade fuori dalla finestra, come fanno sempre nei film.
Avrei potuto. Ma non l’ho fatto. Perché restare a bersi un caffè prima di uscire significa sentirsi risuonare nelle orecchie i suoi brontolii sul fatto che ha sonno, è stanco, non ha voglia di andare al lavoro, il tempo fa schifo, c’è troppo freddo, ma quando arriverà la primavera, ma quanto ci mette a scaldarsi l’acqua, sarebbe ora di comprare una macchinetta del caffè decente...
A me piace la nostra macchinetta del caffè. Sarà un po’ datata, è vero, ma ormai mi sono abituata all’aroma intenso e con quel retrogusto amaro che mi accompagna da quando abitavo ancora con i miei genitori.
Ma lui no, a lui non piace, Alberto vorrebbe una macchinetta nuova. E che se la compri allora!
È vero, stamattina non faccio che lamentarmi, ma che ci posso fare? Sono due mesi che vado avanti così, mi sveglio nervosa, vado al lavoro già stanca, torno a casa distrutta e vado a letto con il mal di stomaco. Sarebbe proprio ora di darci un taglio...
Ma ad un tratto succede il miracolo di ogni mattina: arriva Giulia con un gran sorriso stampato in faccia, mi chiede come sto e mi lancia sul tavolo una pila di scartoffie.
La mia giornata comincia e i pensieri vengono accantonati almeno fino a stasera.



Passo il resto della mattina a fare valutazioni e proposte di mutui con il naso incollato al pc e neanche mi accorgo dell’ora, finché Giulia non torna e mi domanda, con il solito sorriso: «Vieni a pranzo o fai la muffa qui?».
Cavoli, neanche ho visto l’ora. «Certo che vengo» le rispondo sbadigliando. «Andiamo, dai».
E così usciamo nell’aria fredda di questo venerdì di marzo, che ancora non si decide ad accogliere la primavera.
Il nostro solito bar è strapieno di gente, ci facciamo largo tra i clienti al bancone e riusciamo a raggiungere un tavolino libero, proprio di fronte alla vetrina.
«Prendi una Keiser anche oggi o ti dai una botta di vita?» mi chiede Giulia, già ridendo.
«Non oggi. Vada per la Keiser». D’altronde è la mia bruschetta preferita, mi piace. Perché cambiare?! Pane croccante, gorgonzola, speck e pomodoro fresco. Buona. Anzi, ottima.
Arriva Gina, la cameriera, a prendere le ordinazioni. Mi guarda, sorride e chiede: «Per te il solito, tesoro?».
«Sì, grazie», le rispondo distrattamente.
«Ok. Quando hai intenzione di provare qualcosa di nuovo fammelo sapere almeno il giorno prima, che mettiamo i manifesti». Scoppia in una risata fragorosa a bocca aperta. Una risata che di solito mi infastidisce, ma che si adatta perfettamente a lei e alla sua indole così estroversa. 80 chili di donna rubiconda, solare e schietta.
Dal primo giorno che ho messo piede in quel bar ho deciso che Gina mi piaceva e non ho mai cambiato opinione su di lei.
«Allora», mi fa Giulia, «novità?». Mi guarda come fa di solito quando si aspetta qualcosa, piegando leggermente la testa di lato e aprendo i grandi occhi nocciola, quasi volesse incantarmi.
Ha un visino rotondo, contornato da un carré di capelli castani lisci come spaghetti. Forse capisco come faccia ad inebetire gli uomini. Quando non vengono distratti dal suo decolletè li ipnotizza con lo sguardo, è sicuro!
«Nessuna novità», rispondo versandomi l’acqua nel bicchiere. «Perché dovrebbero esserci novità? Non ci vediamo da ieri sera, non è che alla notte faccio follie!».
«Invece dovresti. Non hai neanche trent’anni e ti comporti come se ne avessi almeno il doppio. Guarda me, per esempio: ieri sera sono tornata a casa dal lavoro, ho fatto una doccia veloce e sono uscita con Martina per uno spritz. Siamo state a cena in centro, te lo ricordi quel posticino di cui ti parlavo? Bé, fanno una tagliata assolutamente divina, mi fa venire l’acquolina in bocca anche adesso! Comunque, dopo cena ci stavamo facendo un giro, quando abbiamo incrociato Luca e i suoi amici. Ci hanno chiesto se li accompagnavamo ad una festa universitaria - mi vedi in mezzo a decine di ventenni con gli ormoni a mille? Io mi ci vedo benissimo».
Si mette a ridere. Quanto mi piace quando fa così, sarebbe capace di passare ore a raccontarmi stupidaggini, cambiando mille argomenti e altrettante opinioni, ma almeno mi distrae.
«Alla fine siamo andate in questo locale, era davvero imbucato. Facevano bella musica, vedessi com’erano conciate le tipe! Io dieci anni fa mica andavo in giro così! Minigonne “giropassera” e tacco 12 come minimo, ma dove credevano di stare?! Comunque ci siamo divertiti, ho anche conosciuto un tipo». Ammicca maliziosamente.
«Davvero?» faccio io «Quanti anni ha?». Non voglio che smetta di parlare, mi diverte.
«È carino, si chiama Giovanni. Alto, moro e occhi chiari. Un fusto insomma» e gli occhi le brillano furbi.
«Ti ho chiesto quanti anni ha...», provo ad insistere. Ho paura di conoscere già la risposta.
«Mah, non lo so con certezza. Mi sembra 19 o 20» e distoglie lo sguardo.
«Brutta pedofila, avevamo deciso che non si va sotto i 25!»
Le avevo fatto siglare questo patto lo scorso anno, dopo che, per un paio di mesi, aveva irretito un diciottenne molto carino che frequentava il quarto anno di liceo. Ma si può?!
Alcune sere la madre non lo faceva uscire perché il giorno dopo aveva compito di latino, o di storia, o di chissà che altro. Ho addirittura il sospetto che Giulia l’abbia aiutato con lo studio, qualche volta. Roba da non crederci. Tra un po’ si cercherà gli “uomini” alla fermata dello scuolabus, altro che nei locali!
«Ma ne dimostra almeno 26, te lo giuro!», si difende Giulia. Patetico, ma spassosissimo.
«Sì, sì, a chi la racconti!» Ma sto ridendo, sto ridendo di gusto. Sulle avventure di Giulia ci potrebbero davvero fare un film, ne ha sempre una nuova da raccontare.
«E com’è finita con questo Giovannino?» le chiedo dopo essermi asciugata le lacrime dagli occhi.
«Credo stia ancora dormendo, non l’ho svegliato quando sono uscita stamattina». Un guizzo di malizia negli occhi. E’ sempre la mia solita Giulia!
«Ma dimmi te, te lo sei pure portato a casa! Gli hai fatto chiamare i genitori ieri sera? Sai mai che si preoccupino...»
«Cretina che sei! Certo che li ha chiamati!» E scoppiamo di nuovo a ridere.
Questa sì che è una pausa pranzo che ricarica.

Quando arrivo a casa, la sera, Alberto non è ancora tornato.
Do una sistemata veloce, faccio partire una lavatrice e metto su l’acqua per la pasta.
Mi faccio una doccia velocissima e, uscendo dalla vasca, mi guardo allo specchio con aria scettica: capelli castani che arrivano alle spalle, occhi dello stesso colore. Occhi grandi, quello sì, me lo dicono sempre tutti. E molti ci vedono delle screziature verdi, specialmente se sono all’aperto, sotto il sole. Non sono male, mi dico, davvero niente male. Ancora neanche un filo di cellulite, seno sodo, spalle magre e un bel visino.
Il mio problema è sempre stato il naso. Non è che sia grande, ma io l’ho sempre visto un po’ sproporzionato rispetto al mio viso. Mavi dice che sono tutta scema, vorrebbe averlo lei il mio naso! Sì, vorrei proprio vedere. Comunque la prova specchio è andata, penso sorridendo soddisfatta.
Come se mi servisse a qualcosa avere ancora un bel corpicino da mostrare. Da mostrare a chi, poi?! Ultimamente, quando facciamo sesso, Alberto a malapena si prende la briga di guardarmi in faccia, figurarsi se noterebbe qualche chilo in più o un inizio di buccia d’arancia sul sedere!
Esco sbuffando dal bagno, dopo aver appeso l’accappatoio bagnato dietro alla porta.
Passo in camera per infilarmi qualcosa addosso, la tuta in pile può andar bene. Non sarà sexy, ma è comoda e calda, perciò è perfetta.
Accendo la TV in cucina, la tengo sempre come sottofondo quando sono a casa da sola, mi fa compagnia. Poi però succede che rimane accesa finché mangiamo e così la nostra attenzione viene attirata dalle immagini sullo schermo.
So che non si dovrebbe fare, quante volte si sente dire che la televisione in cucina neanche si dovrebbe mettere! Però è anche vero che così sembra che, se non parliamo, non è perché non abbiamo molto da dirci, ma solo perché siamo interessatissimi al TG delle 20.
Mentre sto preparando la tavola sento la chiave girare nella toppa. Chissà se questa sarà una serata calma o dovrò andare di nuovo a letto con lo stomaco chiuso?
«Ciao tesoro, come va?» chiedo guardinga.
«Ciao» mi sento rispondere. Bé, almeno saluta.
Lo sento entrare in salotto, gettare il cappotto sul divano e prendere la porta del bagno.
Porca miseria, neanche stavolta si degna di usare l’appendiabiti, e sì che l’ha montato lui! Possibile che ci passi davanti e non lo veda mai?!
Respiro. Una, due volte. Ok, non devo fare la casalinga rompiscatole, ora vado di là e sistemo il suo cappotto. Non mi costa nulla, no?!
Alberto arriva in cucina e mi chiede cosa c’è per cena. Una sera mi piacerebbe rispondergli: “Non lo so, cosa prepari di buono?”, ma sarebbe solo un ulteriore motivo di discussione, perciò me ne sto buona buona come al solito.
«Pasta al ragù. Va bene?» gli rispondo.
«Ok». Fiuuuuu, niente lamenti! «Se non c’è altro». E te pareva!
«No, non c’è altro, perché sono appena tornata anch’io e non ho avuto tempo di farti le lasagne al forno, l’arrosto e le patate per contorno!», sbotto con voce alquanto irritata.
«Ok, scusa! Mamma mia, hai mangiato yogurt andato a male stamattina?»
Ecco, ci risiamo. Ora iniziamo con il circolo vizioso di cattiverie e frecciatine. Possibile che ormai non si riesca a convivere civilmente almeno per una sera?!
Mando giù, altri due respiri e si riparte.
«No, scusa, è che sono un po’ stanca. Com’è andata oggi?»
«Il solito, niente di che. Te, tutto bene?» Un velo di interessamento, guadagna un punto.
«Sì dai, tutto ok. Pensa che oggi è venuta una coppia per un mutuo. Poveri, neanche tirandolo per i capelli riuscivamo a concederglielo! Solo che mi facevano tenerezza, erano così giovani e pieni di bei progetti. Sai, si sposano l’anno prossimo. Allora sono andata su dal direttore e....».
«Ok ok, ho capito. Per caso hai comprato la Coca?» Bene, ora di punti ne perde 50!
Com’era prevedibile, Alberto non è minimamente interessato al resoconto della mia giornata. Capisco che non sia avvincente come la prima di “Ironman 2”, ma io lo sto sempre a sentire le rare volte che prende a parlare di qualche transazione immobiliare che lo impegna più del solito. Credo sia una questione di rispetto, se non di amore.
«No, non ho fatto in tempo ad andare al supermercato. Te la prendo domani», rispondo sbuffando.
E la nostra conversazione sulla giornata si chiude qui.




SEGUI LE VITE DI ELENA, PAOLA E MAVI... 

Nessun commento:

Posta un commento